REPORT VIAGGIO IN MACEDONIA 17/04/2012 – 25/04/2012 Pelince - Kumanovo di Walter Retlaw

C’è una piccola regione, proprio al di là del Mar Adriatico, appena oltre i nostri dirimpettai dell’Albania. Un piccolo territorio, che porta lo stesso nome della più vasta regione entro la quale è posizionato, che per dirla tutta non è riconosciuto con tale denominazione da tutti gli Stati: la Macedonia. Un appellativo che ci riporta subito alla mente delle reminescenze scolastiche riguardanti storiche battaglie e valorosi condottieri.
Un paese affascinante e al contempo difficile, in tutti i sensi: politico, sociale, religioso ed economico. Una meta assolutamente non turistica e forse proprio per questo ancor più interessante, tutta da scoprire e da studiare. La Macedonia è questo e altro ancora: se prima di partire non avevo idea del paese in cui mi stavo recando e nel quale avrei vissuto per otto giorni, ora che sono tornato sono ancora più confuso. La Repubblica di Macedonia o FYROM, come la chiamano taluni Stati (Former Yugoslav Republic of Macedonia), è uno Stato ma forse non è ancora una nazione, almeno non nel senso sociopolitico del termine: qui convivono gruppi etnici diversi e contrapposti, per la verità divisi più da una politica interna discriminante e spregiudicata piuttosto che da un odio razziale. Il gruppo etnico prevalente è quello dei macedoni di confessione cristiano ortodossa e di lingua macedone, molto vicino per tradizioni e costumi ai confinanti serbi. Il secondo gruppo etnico, in ordine di numerosità di popolazione, è quello albanese che come lingua madre parla appunto l’albanese e appartiene alla fede islamica. Abitano poi la Repubblica di Macedonia altri piccoli gruppi, tra cui spicca la minoranza rom, alla quale per molti versi spetta lo stesso ruolo sociale che ha all’inter no del nostro paese, ovvero quello di un gruppo ai confini della società.
Il paesaggio di un campagna meravigliosa la fa da padrona: il paese è tutto un insieme di dolci rilievi, boschi e campi coltivati. Predominano i villaggi rurali e la prima impressione che ho avuto quando mi sono addentrato nel territorio, tramite un bus preso a Salonicco, è stata quella di essere passato attraverso una sorta di macchina del tempo: sembra infatti che la vita campagnola della Macedonia si sia fermata a circa un centinaio di anni fa se comparata con la campagna nostrana. Passando di villaggio in villaggio ciò che risalta anche all’occhio del visitatore più distratto è lo stato di grande povertà in cui stagna il paese.
Se il paesaggio bucolico è predominante, non mancano comunque le città. Sfortunatamente ho avuto modo di vedere bene solo Kumanovo, seconda città della Macedonia per numero di abitanti nonché il centro urbano più vicino alla località in cui ho alloggiato. Della capitale, Skopje, ho potuto “ammirare” solo la squallida stazione degli autobus al momento del mio arrivo. Eppure un ragazzo del luogo conosciuto nel tragitto Salonicco-Skopje mi ha raccontato che la capitale macedone è molto interessante sia sotto il profilo culturale che sotto quello artistico. Come si dice: sarà per un'altra volta!
Kumanovo racchiude in sé tutte le contraddizioni della Macedonia e in qualche modo è l’emblema delle contraddizioni che in generale caratterizzano l’Europa dell’Est e più nello specifico i Balcani. Il degrado pervade ogni singola zona e anche qui è possibile vedere la povertà diffusa, presente in ogni angolo delle strade, dalle automobili scassate che riempiono le vie principali ai mendicanti che si aggirano per la città, dai palazzi completamente scrostati ai piccoli negozi sporchi e confusionari.
La povertà si legge anche negli sguardi della popolazione, nel modo in cui guardano noi “occidentali” in un misto di ammirazione e di invidia. Proprio su questi due elementi si fonda un’altra contraddizione che ho riscontrato tra la gente del posto: quella riguardante i miti occidentali a cui queste persone puntano. Penso alle scarpe di marca indossate sotto un vestiario sciatto o al telefonino di ultima generazione che molti giovani sfoggiano. La maggior parte dei nostri coetanei, poi, è attratta dal trash che contraddistingue la nostra televisione nonché dalla musica più commerciale che ci sia. L’unica buona musica che ho potuto ascoltare in otto giorni è stata quella tradizionale macedone.
Le città sono un continuo cantiere. Ogni tanto, qualche limousine o qualche lussuosa vetrina di qualche negozio del centro rompe con il degrado diffuso e genera un contrasto enorme. Un giorno ho visto una limousine rosa confetto parcheggiata in una via semibuia davanti a un palazzone grigio: ho pensato che questa immagine può riassumere bene quale sia l’atmosfera di Kumanovo.
Veniamo ora al progetto. Quello a cui ho partecipato io si chiamava Volunteering in Rural Areas e si è svolto in una località fuori dal mondo, nei pressi di un piccolissimo villaggio chiamato Pelince, a pochissimi chilometri dal confine con la Serbia. Quando dico “fuori dal mondo” intendo proprio dire che eravamo isolati: niente telefoni, niente accesso a internet (solo una chiavetta colegata a un portatile degli organizzatori e utilizzata solo da loro). In certi momenti ho creduto fosse tutto un esperimento sociologico: all’inizio ho sofferto la mancanza di strumenti per avere contatti con il resto del mondo, ma dopo poco mi sono abituato. In fin dei conti si vive bene anche senza connessioni.
Alloggiavamo in un ostello accanto a una pensione e a un memoriale di epoca comunista, nel mezzo di una valle immersa in una natura meravigliosa. Il corso riguardava appunto il volontariato nelle aree rurali e l’obiettivo dei due trainers è stato soprattutto quello di capire come motivare gli altri giovani al volontariato e più nello specifico come avvicinare le persone alle associazioni di volontariato. La maggio parte dei ragazzi e delle ragazze partecipanti non vivono in aree rurali, ma in fondo abbiamo tracciato numerosi parallelismi tra le difficoltà che incontra un giovane abitante delle zone rurali e quelle che deve affrontare un giovane cittadino abitante in qualche sobborgo urbano distante dal centro. La tematica era molto interessante, i membri dell’organizzazione ospitante e organizzatrice sono stati molto bravi nel gestire la nostra permanenza. Il modo in cui è stato condotto il corso è però stato a mio avviso troppo teorico: quanto discusso nei primi tre giorni si sarebbe potuto riassumere anche in una sola giornata e dedicare il tempo più ad altre attività, invece per la prima metà del corso ci siamo ripetuti sempre le stesse cose. Comunque, una giornata è stata completamente dedicata a un’azione pratica di volontariato. Ci siamo recati in un villaggio a minoranza albanese, al confine tra Macedonia, Serbia e Kosovo e situato in una regione considerata a rischio per quanto riguarda il terrorismo internazionale. Lipkovo è il nome del posto. Qui è ancora evidente l’eredità che hanno lasciato anni e anni di conflitti. Molte falde acquifere sono inquinate, molti campi sono radioattivi e le persone vivono in una povertà estrema. La nostra azione si è limitata all’intervista degli abitanti del luogo, grazie a degli interpreti albanesi che facevano parte degli stessi partecipanti del gruppo, nonché alla pulizia di parte del villaggio. Infatti, uno dei problemi maggiori di Lipkovo è la quantità esorbitante di immondizia che si accumula quotidianamente all’interno del villaggio e nella diga costruita sul lago alle porte del piccolissimo centro. La zona in cui è posto Lipkovo è un insieme di fattorie, di moschee e di campi coltivati: gli animali vivono in una perfetta simbiosi con gli esseri umani e il gallo scandisce le ore principali della giornata. Il paesaggio in cui sta il villaggio è veramente mozzafiato, il che ancora una volta sembra stridere con il degrado riscontrabile guardando ogni singola costruzione edificata dalle persone. Bellissima la gita al lago che solo pochi di noi hanno avuto la forza di affrontare: 4 chilometri in salita dopo una giornata passata a camminare. Ne è valsa però veramente la pena di compiere quello sforzo. Molto divertente anche la partita a calcio con i bambini del villaggio, giocata con un pallone di cuoio distrutto, mezz’ora prima di ripartire per Pelince.
Eravamo venti partecipanti, la maggior parte provenienti da altri stati della penisola balcanica. Il gruppo è stato molto unito, l’atmosfera era piacevolissima. La sera, tra una birra e l’altra (acquistate per pochissimi soldi), ci siamo divertiti sempre. Non vorrei poi aprire parentesi troppo lunghe sulla rakia, con la quale ho avuto il piacere di relazionarmi dal secondo giorno!
Solo durante le prime due sere c’è stata qualche piccola tensione tra alcuni partecipanti dei Balcani, basata su pregiudizi reciproci che fortunatamente nelle nuove generazioni sembrano essere attenuate. Nonostante tutto, crescere con idee distorte sulla popolazione di un altro stato può generare imbarazzo e diffidenza. Si tratta del resto di persone provenienti da Serbia, Kosovo, Albania e Macedonia stessa, esseri umani le cui famiglie hanno vissuto i lunghi e sanguinosi conflitti etnici della post Jugoslavia. Fortunatamente l’intelligenza e la voglia di stare insieme nonché quella di divertirsi hanno avuto la meglio.
Che dire, bella esperienza soprattutto come bagaglio per la vita. Probabilmente nasceranno nuovi scambi dopo questo corso in Macedonia, tra le organizzazioni che erano rappresentate durante il corso. Dei maltesi, per esempio, mi hanno espressamente chiesto se Affabulazione vuole diventare partner di un corso da preparare entro Dicembre e da far partire il prossimo anno.
Report forse troppo lungo, ma almeno dettagliato visto che arriva con un ritardo pazzesco! 

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